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Le crafty beer: quando l'industria strizza l'occhio alle birre artigianali

Le crafty beer: quando l'industria strizza l'occhio alle birre artigianali
Dopo l'esplosione del movimento della birra artigianale la grande industria cambia la sua comunicazione, strizzando l'occhio al mondo della produzione indipendente. Seguici anche su Facebook
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In Italia è impossibile capire a colpo d'occhio se una birra è artigianale. La legge del luglio 2016 ha stabilito che la birra artigianale è una bevanda non microfiltrata, non pastorizzata e prodotta da un birrificio indipendente in una quantità massima annua di 200mila ettolitri e, di fatto, ha segnato la distinzione tra artigianato e industria. Eppure nel momento in cui abbiamo davanti una birra questi parametri aiutano poco.

A creare confusione è anche un certo tipo di comunicazione adottata dalle multinazionali della birra. In Italia e nel mondo, sono molti i birrifici industriali che si sono accorti di dover prestare maggiore cura alla comunicazione del prodotto e che lo hanno fatto riprendendo le peculiarità del settore artigianale.
Non capita di rado, infatti, che qualcuno confonda una birra industriale per una artigianale proprio a causa di alcuni dettagli riportati in etichetta: lo stile birrario dichiarato e ben in evidenza, la precisione con cui sono riportati alcuni ingredienti, per esempio la qualità dei luppoli usati, oltre alla grafica dell'etichetta e ai colori. Sin dalla nascita del movimento, i birrifici artigianali hanno parlato al consumatore attraverso questi dettagli, riuscendo così bene nel loro intento da creare una nuova fetta di pubblico che ha ingolosito l'industria.

La reazione delle multinazionali è stata quella di incrementare la produzione di nuove birre, le cosiddette "speciali" che hanno avuto un'impennata nelle vendite, e di comunicare in modo spiccatamente diverso. In gergo, le birre che pur appartenendo a grandi gruppi industriali adottano una comunicazione simile a quella delle artigianali si chiamano crafty; occorre specificare che crafty non significa di scarsa qualità né s'intende con questo un prodotto a priori peggiore di quello artigianale, vuole indicare solo che si tratta di prodotti legati alla grande industria anziché al piccolo artigiano.
Di seguito trovate alcune birre da supermercato che sono al 100% industriali ma che spesso un consumatore disattento può confondere per artigianali:

Ichnusa Non Filtrata
Creata per celebrare il cinquantesimo compleanno dello stabilimento di Assemini, in Sardegna. Questa birra "a fine processo, invece di essere filtrata, viene lasciata decantare naturalmente nei tini di fermentazione" ma questo non significa che è artigianale, né viene scritto da qualche parte che lo sia. Si sottolinea poi la "gettata finale di luppolo, fatta a mano come un tempo" per cui è chiaro che l'intento sia quello di fare riferimento a una dimensione più ristretta e artigianale, ma la produzione in ettolitri del solo stabilimento di Assemini è enorme, se comparata a quella di un artigiano italiano medio. È una lager che, come riporta l'etichetta, utilizza malto d'orzo chiaro e malto d'orzo caramello. Birra Ichnusa nasce a Cagliari nel 1912, grazie ad Amsicora Capra, un commerciante proprietario di diverse imbarcazioni, per cui il dna sardo è innegabile. Nel 1986, Heineken Italia S.p.A. (allora Birra Dreher S.p.A.) acquista marchio e stabilimento di Assemini e inizia a produrre, oltre alle birre Ichnusa, anche tutte le altre del marchio.

Moretti La Bianca
Anche questa di proprietà del gruppo Heineken, per cui si tratta assolutamente di birra industriale, è una weiss fatta "al 100% con malti italiani". Come aveva già fatto in passato con Le Regionali, Moretti ha voluto consolidare l'immagine di birra degli italiani, puntando ancora di più sulla territorialità. Il marchio nasce nel 1859 a Udine e diventa nel tempo la birra dei friulani. Dopo un passaggio di proprietà, nel 1992 viene chiuso lo storico stabilimento di Udine e nel 1996 il marchio, che quindi non era già più di proprietà della famiglia Moretti, passa nelle mani di Heineken. L'anno successivo, accusata dall'Antitrust di detenere una posizione dominante sul mercato, Heineken è costretta a chiudere l'unico stabilimento friulano ancora in produzione e di continuare negli altri sparsi per l'Italia.

Poretti: Le oltreconfine 9 luppoli
Già da qualche anno il Birrificio Angelo Poretti strizza l'occhio al mondo craft classificando le sue birre per il numero di luppoli utilizzati nella ricetta. L'intento è di attirare una nuova fetta di consumatori che viene proprio dal mondo delle artigianali, che è abituata a sentire parlare di luppoli e magari ne sa riconoscere anche alcune varietà. Specificare il tipo di luppolo usato indica una comunicazione rivolta soprattutto a queste persone. Senza dimenticare poi che proprio questo ingrediente è stato il cardine sul quale si è fondata la Craft Beer Revolution in paesi fondamentali per il movimento, come gli Stati Uniti. In ogni caso, si tratta di birra industriale, infatti il gruppo danese Carlsberg ha iniziato l'acquisizione del Birrificio Angelo Poretti nel 1975, dopo quasi 100 anni di attività, e l'ha terminata nel 2002 ottenendo il 100% della proprietà.

Peroni Gran Riserva Puro Malto
Un'altra birra speciale e industriale, questa volta della famiglia Peroni, dichiaratamente pensata per accompagnare "tutti i momenti importanti della nostra vita". Non la lager quotidiana, quindi, ma una birra particolare creata "con il tempo necessario". Con un minimo di conoscenza del segmento craft, dal nome ci aspetteremmo una grande birra da invecchiamento e con già qualche annetto sulle spalle, un batch speciale o almeno un'alta fermentazione, ma la Gran Riserva Puro Malto è una premium lager da 5,2 % gradi alcolici. Il marchio italiano Peroni era passato al gruppo britannico SABMiller già nel 2003. Nel 2015 Ab InBev acquista il gruppo e per ottenere il via libera dalle autorità Antitrust a questa megafusione cede Peroni alla holding giapponese Asahi.

La distinzione artigianale/industriale non ha nulla a che vedere con la qualità del prodotto, ma è sacrosanta. E la difficoltà di distinguere tra i due prodotti per un consumatore medio è reale. A giugno 2017, la Brewer Association (l'associazione di categoria negli USA) ha lanciato un simbolo da stampare sulle etichette – Independent Craft Brewer Seal – per far fronte a questa incognita e identificare i birrifici craft statunitensi. Così il consumatore ha la certezza che ciò che sta comprando proviene da un vero birrificio artigianale, piccolo (per gli standard USA) e indipendente. Potrebbe essere una strada percorribile anche in Italia?