Crescere un bambino vegetariano: come si fa?

Abbiamo girato la domanda a Pietro Leemann, cuoco vegetariano stellato che ha appena pubblicato Veg per scelta
Crescere un bambino vegetariano come si fa
Veg per scelta
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«Essere vegetariani è una specie di lavoro: ci ho provato a lungo ma sono riuscito a farlo bene solo a 35 anni, cioè quando ho aperto il mio ristorante, Joia. Prima era praticamente impossibile perché ho lavorato nelle migliori cucine del mondo e maneggiavo carne e pesce tutti i giorni. Li toccavo, li tagliavo, li mettevo a cuocere. Soprattutto, dovevo assaggiarli». Il che è perfettamente normale per uno chef: Pietro Leemann, svizzero di Locarno, ma milanese da ormai 25 anni, è il più intellettuale, etereo e zen dei cuochi in circolazione. E uno dei pochissimi vegetariani sul pianeta terra ad essersi meritato una stella Michelin.

Manda in libreria Veg per scelta, scritto con Gabriele Eschenazi (Demetra): oltre 200 ricette della tradizione italiana reinterpretate in versione vegetariana e perfino vegana. Il manuale ideale per un genitore veg innamorato della cucina di casa nostra. Prima domanda: come si fa a tirar su un bambino nutrendolo solo di verdure e poco altro? «Fino ai 7 anni è facile, poi diventa quasi impossibile». In che senso? «Un bebè, di solito, è incuriosito dalle verdura e dalla frutta. Dai colori, almeno. Quindi, è più facile convincerlo. E più ne mangia, meglio sviluppa le difese immunitarie. Le mie figlie, per esempio, scoppiavano di salute e all’asilo non si sono mai ammalate. Solo che poi sono andate a scuola. Hanno cominciato a confrontarsi con gli altri e, a quel punto, hanno fatto fatica a non uniformarsi. Non solo. Hanno sviluppato il loro gusto personale». Chissà come ci è rimasto male. «Ma no, perché? Io non sono così rigoroso. Per me le scelte individuali sono fondamentali. Essere vegetariano è anche questo: io sono induista e contrario alla violenza; sono per la libertà individuale. Le mie figlie Romy e Vera sono libere di emanciparsi dall’insalata, ci mancherebbe». Perché è vegetariano? «Io amo gli animali, sono cresciuto in campagna, ma i miei genitori avevano solo galline. Per dire, la carne, le rare volte in cui la mangiavamo, la compravamo dal macellaio. Sono vegetariano anche per una questione etica che dice che le risorse devono essere distribuite equamente in tutto il mondo. Si sa che l’allevamento intensivo inquina. Ma, soprattutto, io mi esercito a sviluppare la capacità di amare. Sono per la non violenza». Beve latte? «Sì, ma solo quello che arriva da mucche che conosco». Conosce mucche personalmente? «Ok, confesso: mia sorella ne ha qualcuna e le fa pascolare libere 3 ore al giorno. È lei a fornirci il latte». Mi sono sempre chiesta come faccia a nutrire il suo neonato una mamma vegana che non riesce ad allattare naturalmente. Immagino che il latte artificiale sia vietato. «Dipende. Non bisogna essere talebani, basta usare il buonsenso. E rivolgersi a un pediatra se si hanno dei dubbi. Dopodiché so che molte mamme veg usano il latte di mandorle. Ma vorrei dire una cosa importante, posso?». Dica, per carità. «Occorre non essere estremi come i francesi che infilerebbero il fois gras perfino nel biberon. O arrivare a mettere in pericolo la salute del proprio figlio dandogli da mangiare solo semini. Quindi una volta all’anno è necessario sottoporsi agli esami che stabiliscono se si soffre di carenza di ferro o B12, l’aminoacido della carne. Ho conosciuto un ragazzino che fino ai 14 anni ha mangiato solo pasta in bianco e cioccolato perché aveva letteralmente terrore del cibo». E com’era? «Gracile, ovvio. Comunque è chiaro che il gusto di un essere umano si forma nei primi anni di vita. Quindi, quando svezzate i piccoli e preparate le pappe, non frullate qualunque cosa: per esempio, carote e zucchine insieme sono terribili, meglio una crema di zucca o di patate e porri. Sapori semplici, ecco». È vero che alcuni vegani si concedono addirittura il pesce? «Era la teoria di Umberto Veronesi, oncologo e vegetariano convinto: diceva che gli esseri meno evoluti soffrono meno, quindi mangiava pesci e crostacei». Una curiosità: che scarpe indossa, in questo momento? «Sneakers di tela, ma spesso anche scarpe di gomma. Dopodichè esiste un posto in Toscana dove si producono calzature di pelle ricavate solo da animali morti di vecchiaia». Cioè? «Le mucche che non producono più latte o i vecchi manzi non finiscono al macello, ma vengono accolti in una fattoria dove passano gli ultimi anni della loro vita felici a pascolare nei prati. Anche questo è amore».