Chi la sa prendere con ironia, per descrivere la stagione in corso ha coniato un hashtag: #nonpuòchemigliorare. E sì, perché l’annata 2016 del tartufo bianco è nata in salita già a fine settembre ed è ancora in ritardo un po’ in tutta Italia. D’altra parte, in questi campi la sapienza popolare difficilmente sbaglia. E ci sono ben due detti che fotografano nitidamente la situazione. Il primo dice: «Annata buona per la vendemmia, scarsa per i tartufi». Il secondo recita più o meno così: «I tartufi bianchi nascono quando l’acqua esce fredda dai rubinetti». Ovvero, quando le tubature che scorrono sottoterra si raffreddano, complici le temperature autunnali. Se fino a qualche giorno fa si raccoglievano ancora pomodori e i cappotti finora sono rimasti appesi negli armadi, è facile trarre le dovute conseguenze. Perché non va mai scordato che il tuber magnatum pico, prodotto spontaneo e sensibile al limite della permalosità, ha due nemici principali: il caldo e la secchezza del terreno, entrambi abbondanti nei mesi passati. Tuttavia, i 62mila cercatori attivi un po’ in tutta Italia non hanno perso le speranze. «L’inizio non è esaltante, ma c’è ancora tempo per recuperare» dicono i più ottimisti. «Le poche piogge estive e le temperature miti di ottobre hanno senza dubbio ridotto il numero di esemplari nel sottosuolo, ma ciò che viene scovato è di buona qualità. Uno scenario molto simile a ciò che è avvenuto l’anno scorso e che forse sta diventando una costante».

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I prezzi

In queste condizioni, anche i prezzi ne risentono: nei negozi, i migliori esemplari sono venduti al consumatore con quotazioni che si aggirano intorno ai 350-400 euro l’etto. Ma il borsino dell’«oro bianco» potrà subire oscillazioni significative, in base all’andamento della raccolta. Anche perché, se le trifole di ottobre hanno risentito ancora dei mesi siccitosi, le recenti piogge porteranno benefici già a inizio novembre. Lo dice anche Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi tartufo che ha sede ad Alba: «La stagione inizierà a entrare nel vivo un po’ più tardi del solito, ma ci auguriamo possa ancora dare molte soddisfazioni. Tutti attendono l’arrivo della luna nuova: con l’aiuto di un po’ di pioggia, potranno arrivare tartufi di buona qualità e la raccolta potrebbe prolungarsi ben oltre il periodo di Natale». La stagione, in effetti, è ancora lunga: proseguirà fino al 31 gennaio 2017 e, se non sarà avara d’acqua, avrà tutto il tempo per saziare i buongustai.

Un giro d’affari per 500 milioni di euro

In ogni caso, il mercato è florido. Oggi in Italia, il giro d’affari intorno al tartufo è stimato complessivamente in 500 milioni di euro per il fresco, conservato o trasformato, senza contare tutto l’indotto che genera. Regioni come la Toscana, l’Umbria e le Marche sono sempre più agguerrite, anche se il Piemonte mantiene il primato di territorio più fecondo, con i suoi 250 comuni «tartufigeni» sparsi tra le province di Cuneo, Asti, Alessandria e Torino. E Alba difende con orgoglio il ruolo di «capitale» che da tempo si è conquistata sul campo grazie al connubio tra eccellente enogastronomia e promozione vincente.

Nel frattempo, «La cultura del tartufo» si candida a diventare patrimonio immateriale dell’umanità, sotto l’egida dell’Unesco. Avete letto bene, immateriale. Come è già successo per la dieta mediterranea - riconosciuta patrimonio nel 2010 - e per la pizza napoletana - che spera di diventarlo nel 2017 - anche questa volta occorre mettere da parte il profumo, il sapore e il richiamo irresistibile della «grattata» per entrare in un territorio di più ampio respiro. Lo spiegano bene i protagonisti che hanno redatto il dossier di candidatura, ovvero l’Associazione nazionale città del tartufo presieduta dal toscano Michele Boscagli e il Centro nazionale studi tartufo presieduto da Antonio Degiacomi. «Il nostro obiettivo - dicono - è quello di certificare e formalizzare, difendere e tramandare il “mito del tartufo”, non solo come frutto dall’inestimabile valore, ma come simbolo di una storia di rapporti tra uomo, natura, animali e tradizione».

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