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LA RICERCA

Umami, il «sesto senso» della lingua

Non solo dolce, salato, amaro, aspro e saporito, ma anche «grasso». Una proteina, se carente, ne inibisce la percezione

LA RICERCA

Umami, il «sesto senso» della lingua

Non solo dolce, salato, amaro, aspro e saporito, ma anche «grasso». Una proteina, se carente, ne inibisce la percezione

MILANO – C’è chi si alza da tavola pago e felice, dopo aver goduto di tutti i sapori che ci regalano le papille, compreso il grasso, ultimo arrivato tra i gusti. E c’è chi dei cibi ipercalorici non è mai soddisfatto, ma non sarebbe giusto etichettarlo come semplice goloso. Infatti l’ultimo studio in materia individua nel «fat» il sesto gusto della lingua (oltre al salato, dolce, aspro, amaro e il saporito, recentemente identificato) e parla anche di una variante ipoattiva di un gene che, in chi la possiede, non consente di percepire a sufficienza questo sesto sapore. E fa ingrassare le persone.

IL GRASSO È COME IL DOLCE O IL SALATO - Per secoli si è ritenuto che gli esseri umani potessero percepire attraverso la lingua quattro sapori: dolce, salato, aspro e amaro. Poi ne è stato scoperto un quinto chiamato umami (saporito), e ora uno studio della Washington University School of Medicine ne aggiunge un sesto: il grasso. Gli scienziati americani hanno infatti individuato un recettore chimico nelle papille gustative della lingua che riconosce le molecole di grasso. Ma una proteina, che varia da persona a persona e che è incaricata di metabolizzare i lipidi, ne influenza la percezione e, se insufficiente, fa sì che di questo sesto gusto non se ne abbia mai abbastanza. Contribuendo all’obesità.

LA RICERCA - Lo studio, pubblicato sul Journal of Lipid Research, ha coinvolto 21 partecipanti sovrappeso invitati a degustare tre tipi di olio, uno dei quali ad alto contenuto di lipidi. L’individuazione dell’olio grasso non è stata facile per tutti i volontari e gli esperti hanno potuto notare diversi livelli di percezione. Inoltre esiste una proteina chiamata CD36 deputata a riconoscere il grasso e, se questa è carente, la sensibilità al grasso è ridotta, il che spiegherebbe il motivo per cui esistono persone che non si saziano mai di cibi ipercalorici. In particolare gli scienziati hanno notato che coloro che producono livelli più alti di CD36, rispetto a chi ne fabbrica la metà, percepiscono con maggior facilità la presenza di grassi negli alimenti e per l’esattezza la avvertono otto volte di più.

LA SPIRALE DEI GRASSI - La ricercatrice Nada Abumrad, che insieme a M. Yanina Pepino ha guidato lo studio, sottolinea la valenza di questa intuizione: «Così si spiegherebbe l’obesità e quel senso di insoddisfazione perenne di cui soffre circa il 20 per cento della popolazione a tavola». Tra i volontari presi in esame c’erano individui con variante iperattiva del gene, ridotta o intermedia, ma gli studiosi hanno notato che la dieta stessa incoraggia questo meccanismo e un regime alimentare ad alto tasso di lipidi inibisce la produzione della proteina stimolando la fame di grassi e mettendo in moto una spirale. Gli studiosi americani sperano che la loro scoperta possa essere usata per combattere l'obesità.

Emanuela Di Pasqua16 gennaio 2012 (modifica il 23 gennaio 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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