Milano, 3 maggio 2015 - 12:35

Vita e lavoro, un welfare
su misura per le persone

di Paola Pica

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Se tra l’occupazione fuori casa e la cura della famiglia viene costruito un conflitto, la ritirata delle donne è quasi certa. Per lo più dopo la nascita dei figli o quando i genitori perdono autosufficienza. Scrive l’Ocse nel rapporto pubblicato ieri: «Il 58% della popolazione italiana tra i 15 e i 64 anni ha un lavoro retribuito, dato inferiore alla media Ocse del 65%. Gli uomini occupati sono circa il 68%, mentre le donne il 48%. Questa differenza indica che le donne hanno difficoltà a conciliare il lavoro e la famiglia».

Il dato, del resto, ci viene contestato da più parti e, da ultima, sullo «scandalo» delle (mancate) pari opportunità si è levata anche la voce di papa Francesco. La spinta è preziosa alla vigilia del decreto attuativo del Jobs act che si occupa proprio di conciliazione tra il lavoro e i tempi che vorremmo chiamare «della vita» e non solo «della cura». L’intenzione pare quella di realizzare quella cabina di regia annunciata da anni (già il governo Monti fece un tentativo) ma «la volta buona» dovrà servire a ricomporre il conflitto, che è prima di tutto culturale, tra il lavoro e tutto il resto. Non delle donne, ma di tutta la platea dei lavoratori, a partire dai nuovi padri. La modernizzazione dell’offerta di welfare è un modo per aumentare la produttività. Se ne è parlato in una recente audizione delle esperte di Valore D, l’associazione delle imprese che sostengono la leadership femminile, in Commissione lavoro alla Camera.

Cominciano a diffondersi anche in Italia le iniziative di «welfare aziendale» e di forme di sostegno indiretto come il contributo al mutuo, alla scuola per i figli o allo studio delle lingue straniere, gradite ai dipendenti. Un’offerta di welfare adeguata ai bisogni dei dipendenti, sostiene tra gli altri McKinsey, «permette di generare benefici economici netti due volti superiori al costo dell’investimento». Bisogna crederci.

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